CHI SIAMO...

 

 

 

 

  il “Cobra”       

 

                                                  

 

Mi chiamo Claudio Gaspari, in arte Cobra.

“Cobra” è stato per anni il mio soprannome, anche mia madre mi chiamava cosi; mi e stato affibbiato da un professore universitario molto conosciuto nella zona.

Lo incontrai su di un pullman, avevo forse 16 anni, si sedette accanto a me e mi chiese cosa si stesse muovendo sotto la mia camicia, ma non feci in tempo a dir parola che, con mio grande imbarazzo, un colubro di Esculapio (in latino elaphe longissima, dal nome elapide ovvero famiglia dei cobra), un serpente innocuo che si vede sul simbolo delle farmacie e che in tutto assomiglia al cobra (ma non dilata il collo), saltò fuori ed il professore lo afferrò prontamente, avendolo riconosciuto per quel che era.

Quella volta scoprii che anche lui era un amante dei serpenti e dell'India; dopo di allora ci incontrammo spesso, anche in India a Benarers, fino alla sua morte nel 1989; ormai solo i vecchi amici mi chiamano “Cobra”.

Se invece mi chiedete quando ho cominciato a pescare, proprio non me lo ricordo perché ai bambini come me che nascono sulle rive di un lago e quasi naturale ritrovarsi quasi da subito con una canna in mano.

Quasi  tutti gli abitanti del  mio paese erano pescatori di professione con le reti  ; infatti abitavo in un piccolo villaggio sulle sponde del lago, tagliato quasi fuori dal mondo con di fronte il monte Baldo a far da cornice.

Quando ero piccolo, a casa soldi non ce n’erano mai abbastanza e mi ricordo che un vecchio pescatore a noi bambini, piegava dei piccoli chiodi ad uncino per insegnarci a prendere qualche piccolo pesce e contribuire fin dalla tenera età a riempire la dispensa.

A questi chiodi storti legavamo un filo di canapa, un po’ di mollica di pane nelle tasche e… via per la discesa polverosa fino al lago.

Si prendeva a volte un vairone che doveva essere stanco di vivere, con un amo cosi rudimentale,  ma da piccolo ero già contento pure così.

D’estate con i raggi di un vecchio ombrello rotto (BATECHE), legati con del filo di ferro, si costruiva un rudimentale arco. Poi con una bacchetta opportunamente lavorata si costruiva una freccia e dopo si correva giù al lago, ci si immergeva in mutande e con una maschera da sub ad oblò tondo, si andava a caccia, cercando di infilzare nei buchi delle rocce i pesci (PES).

Prima con il filo in mano, poi con un bastone, le prime canne di bambù ed infine chissà da dove… sbuca una canna in fibra di vetro bianca (la mia prima canna da lancio) da spinning diremmo ora abituati giocoforza ai termini inglesi.

Finalmente una vera canna da lancio per me ragazzo amante dell’acqua e dei pesci, con tanto di mulinello che sgranava ad ogni giro di manovella…ogni lancio una parrucca, ma avevo un vero mulinello tutto mio... il suo rumore mi sembrava una musica, che facevo suonare per ore.

Ancora oggi, ogni tanto, mi diverte andare a pesca con una vecchia canna in bambù pesantissima, perché mi sembra di ritornare un po’ bambino; vedo l'ilarità sul volto degli altri pescatori che forse mi compatiscono, ma non me ne curo e continuo la mia avventura perché è proprio di quelle sensazioni che, in quel momento, ho davvero bisogno.

I primi cucchiaini (CUCIARI) ed i minnows (PES FINT) autocostruiti, li ho visti la prima volta dal vecchio pescatore che ci dava gli ami fatti con i chiodi piegati.

Lui li faceva di legno e poi li colorava sempre di giallo, diceva che era il colore che i pesci vedono meglio, li usava con il LILO’, un tipo di pesca simile alla tirlindana.

Fin da piccolo uscivo con la barca a remi per la posa della SGUERNA, un filo lungo dei chilometri con attaccati ad intervalli regolari degli ami con dei pesciolini vivi e si procedeva  navigando a zig zag ancorandola a riva con una pietra e un sughero per segnalazione.

Mio padre che faceva il minatore, si ammalo di silicosi, cosi non poté più lavorare ed iniziarono tempi davvero duri; ho perciò iniziato a pescare per necessità.

Andavo a prendere le lumache quando pioveva, oppure cacciavo i gamberi di torrente, prendevo gli uccellini con le trappole, raccoglievo le erbe in primavera, rubavo nei campi la frutta di stagione e principalmente andavo a pesca, contribuendo al bilancio famigliare.

Mia madre prendeva i vaironi che gli portavo, li puliva e li friggeva; oppure li metteva nei barattoli di vetro sotto aceto, con foglie di rosmarino aglio cipolla per poterli mangiare anche d’inverno, nei momenti di magra. 

Cacciavamo dai pontili con delle fiocine e gli arpioni attaccate ad una lunga canna, prendendo dei grassissimi lucci, belle bottatrici e saporite tinche… specialmente di notte con le lanterne al carburo.

Da ragazzi si usava anche un cerchio di botte con una rete a sacco recuperata da un pezzo di rete rotta abbandonata dai pescatori di mestiere. Si lanciava sul branco di cavedani in frega richiamati da uno di noi che  sfregava una grossa pietra sui ciottoli della spiaggia, imitando la CAVASINA (il cavedano femmina) in frega.

Questo cerchio chiamato SERCOL, non aveva un padrone ed era a disposizione di tutto il villaggio. Chiunque sul molo avesse bisogno di qualche pesce per il pranzo o per la cena poteva utilizzarlo e tutti provvedevano alla sua manutenzione. In qualsiasi momento si poteva usare bastava essere del villaggio… ora con l’egoismo dilagante che si vede in giro è difficile immaginare una cosa simile, ma a quei tempi la miseria e la povertà generale rendeva le persone molto più unite e solidali fra loro.

Nelle calde notti d’estate con un semplice guadino (BARTABEL), si correva sul filo del bagnasciuga e si raccoglievano tantissime alborelle  in frega. Prima finivano su un giornale pieno di farina e subito dopo nell’olio bollente. Nascevano spontanei dei capannelli di persone di ogni età ed al chiaro di luna si mangiavano tutti assieme questi saporitissimi pesciolini. In quel periodo in cui le alborelle si avvicinavano a riva era sempre una festa ed i fuochi e le candele, creavano nel villaggio un atmosfera davvero magica. Gli attori protagonisti erano i piccoli pesci, quelle alborelle che a quei tempi erano talmente numerose che sembravano non poter finire mai. 

Nelle notti più calde non era insolito vedere parecchie persone del villaggio scendere sui pontili con il cuscino ed un lenzuolo ed addormentarsi beati al venticello del San Carlo, un vento caldo proveniente da ovest.

Alcuni come il sottoscritto, preferivano il dondolio del ponte di una barca, non prima di aver lanciato una lenza a mano  con un ancorina a tre punte innescata con formaggio, uva o ciliegie, fichi o un pezzo di budella. Si fissava la lenza ad un anello ferma barca e poi a nanna. Il mattino seguente al risveglio il pranzo era sempre assicurato da  anguille, bottatrici, cavedani e altre specie lacustri.

Un altro sistema di pesca era a galla con il pane raffermo; si pasturava e con un pezzo di legno come galleggiante attaccato al filo di nylon il finale portava o un amo del 6 storto o un ancorina.

Ne avrei di pagine da raccontare sui sistemi di pesca usati da noi giovani ragazzi sempre in piazza (PIASSAROT).

In quanto alla pesca a lancio, non ho ricordi particolari dei miei inizi, come non ho ricordi della prima autocostruzione. Con un semplice piombo si facevano dei cucchiaini; mentre i più ricchi usavano dei veri cucchiaini da caffè.

Il padre di un amico costruiva inizialmente con del ferro e successivamente in ottone, degli artificiali ellittici da sette centimetri con i bordi smussati, che ondulavano e sfarfallavano in modo meraviglioso.

Si agganciava di tutto, anche in caduta erano catturanti; ora lui e morto ed io conservo ancora, come reliquie, alcune sue AOLETTE (la chiamavamo AOLA ovvero alborella).

Molti anni fa prima della “moda” del cattura e rilascia (CIAPA E MOLA), fui colto dai sensi di colpa quando uccidevo i pesci non per necessità ma per sport.

Mi accorgevo che a volte i pesci restavano nel frigo per giorni e alla fine erano buttati. Ebbi come un rifiuto fisico alle catture e per anni pescai proprio pochino (ma la pesca per me è come una droga, non posso fare a meno). Allora ripresi ma tenevo solamente ciò che mangiavo, altrimenti liberavo tutto il pesce.

Se parliamo di pesci buoni da mangiare, non mettetevi a ridere, io preferisco il cavedano poiché si riescono a fare delle polpette buonissime; ora da noi é scomparso o quasi.

Da quando poi hanno proibito la caccia  nel basso lago ad anatre e svassi e stata una tragedia  perché queste specie sono ghiotte di uova di cavedano e di alborelle anch’esse praticamente sparite.

Poi come se non bastasse a rovinare l’equilibrio del lago sono arrivati i black bass, ed i persici sole importati dalle americhe, anche loro distruttori di avannotti . Aggiungiamoci poi i prelevamenti indiscriminati di acqua dal Garda e dal fiume Mincio per irrigare le pianure mantovane: il livello del lago è conseguentemente sempre più basso.

Sarà per questo, sarà per quello ma di pesci se ne vedono sempre meno. Nei nostri torrenti le specie autoctone sono praticamente sparite o  preda di bracconieri o di piccola taglia o di immissione che abboccano anche ad un filtro di sigaretta pur di mangiare qualche cosa e quindi non pesco quasi più.

Mi diverto a sentire le storie dei miei più fortunati amici che non hanno perso ancora l’entusiasmo e vanno a pescare nell’Adige, nel Chiese o nell’Avisio ... magari utilizzando le mie esche, e mi dicono: "sai con un tuo pesce finto ho preso una marmorata "…”ho allamato una trota fario (MIGNAGA)" autoctona, era lunga un braccio ma poi se sganciata… magari è una bugia, ma fa niente, ci credo e basta.

Gian Domenico Bocchi diceva in un suo libro: “ci vuole fiducia quando si va a pesca e una piccola bugia può crearne tanta di fiducia”.

Nel1979 partii per l’India in autostop e nel mio zaino c’era anche una canna telescopica modificata, ovvero con l'impugnatura tagliata per renderla più corta.

Pescai un po’ ovunque anche nell'oceano indiano, stetti un anno in India, poi in Turchia, Iran, Pakistan, Bangladesh, Birmania.. poi di passaggio nel Nepal, due mesi sul lago di Pokara.

Nove anni fa una malattia  mi ha dato il colpo di grazia, cosi che per sentirmi ancora un po’ pescatore ho intensificato la mia ricerca nella costruzione di nuovi artificiali, il vostro sito per me e stato un vero colpo di fulmine permettendomi di confrontarmi con altri costruttori non solo con gli amici che usano le mie (e le loro esche). Spesso costruisco solo su precise indicazioni dei lanciatori arrivando sempre o quasi ad un compromesso costruttivo per cercare di riprodurli in serie.

Ragazzi c’è sempre, dico sempre, da imparare da chiunque. Anche se come dicono qui, ogni testa é n’a crapa e a metter d'accordo tutti i pescatori… ce ne vuole di pazienza, la pazienza di un vero pescatore; quello che credo di essere anch’io.  

Ciao a tutti e buona p... ermanenza sul ns. sito !

 

Cobra

 

 

 

 

  Black Bass & Co
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